Ognuno di noi, durante la pandemia, ha fatto esperienza di quanto contino le relazioni e soprattutto cosa significhi perderle. Ci siamo resi conto che la distanza, se eccessiva, allenta i legami lasciandoci solo «connessioni» prive di anima. Le relazioni vivono invece nella «prossimità» che non annulla la distanza ma la regola in modo tale da garantire che ci si possa guardare negli occhi e ci si possa ascoltare. Questa riflessione è decisiva per orientare il lavoro delle imprese che si trovano ora a decidere come rimettere al centro la dimensione relazionale quale fattore strutturante l’organizzazione, il suo funzionamento e il suo senso.
Negli ultimi due anni tutto è sembrato congiurare contro le relazioni in azienda e la loro valorizzazione, a partire ovviamente dal lockdown e dalla costrizione del lavoro da remoto. Circostanze che ci hanno invitato a scegliere la via «comoda» che sacrifica le relazioni, le loro fatiche e ferite. In questo nuovo contesto, abbiamo scoperto che è possibile ripensare l’organizzazione del lavoro superando il quotidiano obbligo della vita in ufficio. Oggi così, si consolida l’idea che le migliori new way of working debbano passare per l’adozione di una qualche forma di «lavoro ibrido e phygital», che si è accreditato per aver portato diversi benefici alle persone in termini di gestione dei tempi e alle imprese, favorendo una maggiore produttività.
L’introduzione di questa nuova modalità di lavoro, d’altro canto, può rappresentare una “minaccia” per il capitale relazionale costruito nel tempo dall’impresa che ora va ri-generato, perché asset tra i più importanti. Manager e team HR sono così sfidati a gestire efficacemente questa transizione verso un lavoro che combina presenza e distanza, un mix tutto da esplorare attraverso il quale valorizzare ciò che abbiamo appreso durante la pandemia.
Si tratta di un intervento complesso perché l’allentamento della dimensione relazionale nelle aziende ha attivato la riscoperta dei molteplici significati che il lavoro ha. Tra questi c’è anche quello di essere un’occasione unica per costruire legami tra persone e legami con l’impresa; stiamo sempre più prendendo consapevolezza infatti che la presenza fisica gioca un ruolo fondamentale in tal senso.
Insomma, la digitalizzazione, da sola, non è in grado di rispondere alla domanda di socialità e di senso delle persone e dei lavoratori; ci sono numerose ricerche e dati, di diversa provenienza, che lo dimostrano. Cosa si cerca nel lavoro? Una recente indagine di Gallup conferma che le persone nel lavoro cercano buone relazioni, vogliono essere rispettate e riconosciute, oltre naturalmente ad aspirare a un reddito adeguato e a potersi impegnare in attività attraverso cui autorealizzarsi. Mai come in questo tempo ascolto, riconoscimento, incontro e dialogo appaiono essere risorse indispensabili per il benessere delle persone in azienda.
Il timore che un eccessivo allentamento delle relazioni e dei legami tra capi e collaboratori e tra colleghi possa indebolire il senso di appartenenza all’impresa è, attualmente, una delle preoccupazioni più sentite da imprenditori e CEO.
Per questo sarebbe auspicabile che imprese, manager e funzioni HR rafforzino il loro impegno a rileggere con lenti adeguate categorie e condizioni fondamentali per creare engagement e motivazione nei lavoratori, come lo sono fiducia e autonomia. Esse non sono soltanto competenze tecniche ma condizioni che abilitano la vita organizzativa e il suo buon funzionamento. Avere fiducia e costruire autonomia sono, prima che skill, modi di guardare l’organizzazione. Il loro sviluppo ha necessità di allenamenti, metodologie e metriche diverse.
Chi sono dunque i veri protagonisti della «sfida delle relazioni»?
- le direzioni aziendali perché hanno la responsabilità di costruire giorno dopo giorno una cultura aziendale all’altezza della sfida, dotando l’impresa di un «purpose» capace di attrarre, mobilitare energia e motivazione e generare senso di appartenenza;
- le funzioni HR perché devono farsi carico di ridefinire i processi di recruiting, valutazione, sviluppo, etc. senza dimenticare la centralità della progettazione del lavoro e del suo ambiente fisico e psico-sociale. Tutti i processi, infatti, dovranno essere ripensati per permettere la cura delle relazioni, consentendo alle persone di trovare risposte alle loro domande di riconoscimento.
- i people manager, infine, perché hanno in mano il “cuore” dove pulsano le relazioni, quelle tra capo e collaboratore e quelle tra i componenti dei team. A loro spetta il compito di mettere in discussione i modelli sin qui adottati per lasciar spazio ad un nuovo mindset e generare stili di leadership appropriati.