Nell’ultimo periodo, in molte organizzazioni, si osserva questa tendenza: executive e manager sono concentrati soprattutto su strategie rivolte all’efficienza, con l’obiettivo di trovare soluzioni e rimedi a problemi di breve temine. Lo segnala un recente articolo di Fortune. Si tratterebbe di un atteggiamento riconducibile a un bias (distanced cognitive bias) secondo cui diversi manager si stanno concentrando involontariamente solo su questioni ed eventi vicini nel tempo e da loro percepiti come urgenti. La conseguenza però è che così facendo finiscono per trascurare dimensioni fondamentali del loro lavoro: per esempio quella di curare i bisogni e le esigenze dei propri collaboratori, attraverso la ricerca e la promozione di percorsi di crescita e occasioni di sviluppo.
Investire nelle persone e nella loro formazione d’altro canto porterebbe numerosi benefici alle organizzazioni, come quello di generare capacità per affrontare in modo efficace potenziali problemi, facilitando di conseguenza il lavoro di chi deve prendere decisioni strategiche.
Perché quindi costringere executive e manager a prendere decisioni sempre più in condizioni di urgenza invece che facilitare il loro lavoro e renderlo più efficace? Pressare sul breve significa in definitiva, come nell’esempio proposto, trascurare il futuro dell’impresa proprio a causa del disinvestimento sulle iniziative di sviluppo e crescita dei collaboratori che penalizzano anche l’innovazione.
In quest’ottica leader e manager possono svolgere invece una funzione decisiva. Per questo bisognerebbe promuovere e incoraggiare nuovi stili manageriali e di leadership coerenti anche con i principi della sostenibilità e tra questi, in particolare, con quello dell’orientamento di lungo periodo. Anche per questo executive e manager dovrebbero ribellarsi a una direzione che li premia per la loro dedizione al breve. Sarebbe un modo per ri-generare la dignità di un lavoro, quello degli executive, troppo importante per essere maltratto e impoverito.
Quale percorso seguire?
Il people management è un contenitore di competenze tra le più importanti su cui lavorare per raggiungere questi obiettivi. Ma cosa significa esattamente gestire le persone oggi? Per i lavoratori è sempre più centrale “sentirsi parte di qualcosa”, essere coinvolti in progetti percepiti come importanti e avere delle prospettive di crescita. Per questo negli ultimi anni sta prendendo sempre più forma la necessità di ridisegnare lo stile manageriale ed il proprio approccio relazionale con i collaboratori.
Gestire le persone significa saperle ascoltare, saper dare loro fiducia e favorire occasioni di sviluppo e di apprendimento. Alcuni esempi di pratiche adottabili in questo senso possono essere la pianificazione di conversazioni focalizzate su esigenze e prospettive di carriera, anche grazie all’utilizzo costante di sessioni di mentorship per guardare avanti.
Ripensare relazioni e stili di leadership vuol dire allenare soprattutto approcci e comportamenti relazionali. Vuol dire allenarsi a generare senso del lavoro, mettendo in campo autenticità. Non bisogna allora avere paura di adottare comportamenti coerenti con i valori dichiarati dall’azienda, consapevoli che è questo che crea fiducia e coinvolgimento attivo nei collaboratori. Soprattutto tra le più giovani generazioni che sanno ben cogliere la differenza tra leader e manager autenticamente interessati alla crescita delle persone e quelli invece privi di quest’orizzonte.